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Un affresco della tragedia della Seconda guerra mondiale: dall'impreparazione dell'esercito alla deportazione, alla bruciante delusione della sconfitta, al caos dell'otto settembre, al desiderio di casa, alla prigionia. L'autore, sergente ventiduenne del 3° battaglione del 128° fanteria della Divisione Firenze agli ordini del generale Azzi, coglie la tragedia in un raro sarcasmo, sostenuto dalla speranza che tutto presto o tardi avrà fine: in un modo o in un altro. La sola preoccupazione è la posta da casa. E l'impegno del dovere nella fierezza italiana. Mentre il paesaggio corre come i fotogrammi di un film dai finestrini della tradotta, si lascia attraversare dallo spirito di Erodoto di Alicarnasso: «Intanto, restando nella mia cuccetta, prendo il quaderno e la penna e mi accingo a scrivere quanto i miei occhi vedono.» Dando inizio alla historia. Spunti letterari ovunque: il sole «al suo ultimo splendore» o «che piange in questa gola buia e umida», il volto di una ragazza ebrea cui dà dell'acqua che «si è dischiuso in un pallido sorriso di ringraziamento».